la mia storia.
Sono nata a Milano nello stesso anno del punk e del primo Star Wars, e in realtà da grande volevo fare l’esploratrice.
Sono cresciuta imparando a fare lo zaino, ad accendere fuochi, a costruire tende sugli alberi, a orientarmi con le cartine, col sole e le stelle, arrampicandomi su sentieri impervi e cantando canzoni che gli altri non ascoltavano mai.
Ogni settimana un panorama diverso: boschi, ruscelli, baite sperdute, piogge torrenziali, laghi, cime, arcobaleni.
Anche se poi ho smesso, questa cosa qui non mi è mai passata: quella di sapere che, se vuoi, dentro uno zaino ci sta tutto quello che ti serve, che la Natura è severa ma anche accogliente, e che nella vita c’è bisogno di scoprire e sorprendersi, sempre.
Così, zaino in spalla, sono partita per studiare in un’altra città, e poi all’estero, in Spagna. Non inseguivo tanto un’ambizione, o una professione, ma avevo davvero decine, centinaia di domande. Volevo esplorare ancora: volevo capire le persone.
Per questo il mio primo amore è stata la Sociologia, che ho studiato all’Università degli Studi di Trento, la prima, in Italia, a dedicare una facoltà alle Scienze Sociali.
Di quegli anni, ricordo le case, le amicizie, le passeggiate lungo il fiume, il piacere di studiare in quelle biblioteche dal silenzio solenne, i mille lavori fatti di notte per frequentare le lezioni di giorno… Ma, più di tutto, lo stupore della scoperta: la verità è che ho trovato davvero tante risposte, ma soprattutto, ho trovato altre, incredibili domande. Erano gli anni dei movimenti anti- globalizzazione e di “Un altro mondo è possibile!”, così sono partita di nuovo
…Flash forward: è il 2006, e ci sono io che appoggio lo zaino, mi fermo dal mio girovagare, imparo a godermi il piacere dell’attesa: sta per nascere Nico, mio figlio.
In quegli anni il mio compagno, dopo anni di esperienza nel settore, decide di mollare la distribuzione e di realizzare una linea di abbigliamento streetwear. Così apre un concept store, dove vendere i suoi prodotti e quelli di altri marchi indipendenti.
Mentre con una mano mi accarezzo la pancia sempre più tonda, con l’altra comincio a scrivere, a raccontare quel mondo fatto di vestiti e accessori un po’ stravaganti.
Sembra uno scherzo del destino (mai stata particolarmente fashion addicted), ma in realtà quel mondo comincia a piacermi. Guardo dietro a quei vestiti, e ci trovo le persone, il loro saper fare, il desiderio di esprimersi, di fare, di creare.
Ci sono due parole che sempre si rincorrono e si mescolano, e che diventano presto parte del mio vocabolario quotidiano creando nella mia testa una nuova, armoniosa melodia:
creatività e sostenibilità.
La prima parla del desiderio di essere indipendenti, di fare della propria passione e del proprio saper fare un mestiere, di essere fedeli a se stessi e onorare i propri talenti.
La seconda del vivere lento, del rispetto per la Natura e della convinzione condivisa che sia necessario riconoscerne e preservarne la bellezza.
Sono loro ad accendere la scintilla di ciò che è il mio lavoro oggi. È così che ho iniziato ad appassionarmi alla moda, a come funziona il sistema (comparivano allora in Italia i primi negozi di fast-fashion…), e poi ai materiali, all’impatto ambientale, alle possibili alternative.
Osservo, e scopro che questi progetti così diversi hanno, in fondo, una visione comune.
Nella mia testa prende vita il concetto di moda critica, e nel 2007 nasce ISOLA DELLA MODA, il primo hub milanese dedicato alle produzioni di moda indipendenti.
Da lì, come si dice, “il resto è storia”!
Con IDM siamo stati fra i primi, in Italia, a parlare di moda critica, di sostenibilità e di consapevolezza. E “l’ISOLA” diventa esattamente quello che il suo nome vuole significare: un punto di riferimento, un luogo dove approdare per tutte le produzioni indipendenti. Nasce un network di decine di marchi, che ci occupiamo di promuovere e supportare
Sono anni ricchi, generosi, incredibili: non mi fermo mai.
Conosco tantissime persone, organizzo decine di eventi (uno fra tutti, le tre edizioni di Dressed Up: a Critical Fashion Show, la prima sfilata indipendente di moda critica in Italia), vengo invitata come relatrice ai convegni, faccio da consulente per vari progetti.
Collaboro per diversi anni con Terre di Mezzo, che organizza Fa’ La Cosa Giusta. Con loro lavoro all’ideazione dell’area Critical Fashion all’interno della Fiera, e realizzo la prima edizione di So Critical, So Fashion, il primo evento B2B in Italia dedicato alla moda critica.
Mi rendo conto che, anche dal punto di vista imprenditoriale, questi progetti condividono moltissimo, così comincio a studiare, ad approfondire i temi della produzione. Creo due linee di abbigliamento, fornisco le prime consulenze.
In quegli anni di storie ne abbiamo raccontate tante…
Storie di vestiti con dentro la passione di chi li aveva cuciti e pensati, storie dei tanti progetti che hanno esposto nel nostro spazio, storie di artisti, di produttori, di artigiani, di designers e di sarti, di stilisti e grafici, di inventori e visionari…
Storie di un’altra moda possibile, che ci hanno permesso di dare un nome e un senso comune ai tanti percorsi che si sono incrociati nella nostra Isola, dimostrando che esisteva un’alternativa concreta, giusta, sostenibile in questo settore.
Sono anni ricchi, generosi, incredibili: non mi fermo mai.
Conosco tantissime persone, organizzo decine di eventi (uno fra tutti, le tre edizioni di Dressed Up: a Critical Fashion Show, la prima sfilata indipendente di moda critica in Italia), vengo invitata come relatrice ai convegni, faccio da consulente per vari progetti.
Collaboro per diversi anni con Terre di Mezzo, che organizza Fa’ La Cosa Giusta. Con loro lavoro all’ideazione dell’area Critical Fashion all’interno della Fiera, e realizzo la prima edizione di So Critical, So Fashion, il primo evento B2B in Italia dedicato alla moda critica.
Mi rendo conto che, anche dal punto di vista imprenditoriale, questi progetti condividono moltissimo, così comincio a studiare, ad approfondire i temi della produzione. Creo due linee di abbigliamento, fornisco le prime consulenze.
In quegli anni di storie ne abbiamo raccontate tante…
Storie di vestiti con dentro la passione di chi li aveva cuciti e pensati, storie dei tanti progetti che hanno esposto nel nostro spazio, storie di artisti, di produttori, di artigiani, di designers e di sarti, di stilisti e grafici, di inventori e visionari…
Storie di un’altra moda possibile, che ci hanno permesso di dare un nome e un senso comune ai tanti percorsi che si sono incrociati nella nostra Isola, dimostrando che esisteva un’alternativa concreta, giusta, sostenibile in questo settore.
Nel 2012 il progetto di ISOLA DELLA MODA tramonta, ma non ho tempo per la tristezza: vengo subito scelta per coordinare la fase di start-up di un giovane brand di haute-couture. Serve “una figura poliedrica” che affianchi un talentuoso stilista nella nascita e nello sviluppo del suo marchio.
Sul mio biglietto da visita ora c’è scritto Product & Production manager, nella mia borsa ci sono due telefoni (sempre accesi), e per la prima volta metto i tacchi per andare in ufficio.
Il panorama è cambiato: ora ci sono collezioni di centinaia di pezzi, l’atelier in pieno centro a Milano e lo showroom di Parigi, i clienti stranieri. E poi i lookbook e le campagne, i press day e l’ufficio stampa a Los Angeles, gli eventi all’estero, le star internazionali, le Fashion Week, i red carpet…
Mi si è aperto, letteralmente, un mondo davanti, e di nuovo mi ci sono tuffata, con curiosità ed entusiasmo.
Ho imparato moltissimo: a fare ricerca, a progettare le collezioni, a relazionarmi con i fornitori, a lavorare su giganteschi file excel con decine di formule…
Ma soprattutto (ed è stata la cosa più bella) ho imparato a lavorare giorno dopo giorno al fianco di uno stilista talentuoso e visionario, a entrare nel suo immaginario, intuire da un particolare tratto sul bozzetto in quale tessuto immaginava un abito, muovermi all’unisono ed essere il “lato pratico” della sua fantasia. Ogni mattina, sull’enorme parete del nostro atelier comparivano disegni di abiti meravigliosi, e il mio compito era costruire e realizzare il processo per trasformarli in realtà.
Ho imparato moltissimo: a fare ricerca, a progettare le collezioni, a relazionarmi con i fornitori, a lavorare su giganteschi file excel con decine di formule…
Ma soprattutto (ed è stata la cosa più bella) ho imparato a lavorare giorno dopo giorno al fianco di uno stilista talentuoso e visionario, a entrare nel suo immaginario, intuire da un particolare tratto sul bozzetto in quale tessuto immaginava un abito, muovermi all’unisono ed essere il “lato pratico” della sua fantasia. Ogni mattina sull’enorme parete del nostro atelier comparivano disegni di abiti meravigliosi, e il mio compito era costruire e realizzare il processo che li avrebbe trasformati in realtà.
È stato un periodo sorprendente, ricco, ogni giorno assorbivo qualcosa di nuovo.
Ma era anche faticoso, perché a quei livelli la moda non fa deroghe o sconti. O ci sei o non ci sei, e se ci sei, devi esserci sempre: il lavoro è il primo e l’ultimo pensiero di ogni tua giornata.
Così a un certo punto sono esplosa, e una sera, tornando a casa, sono scoppiata a piangere in metropolitana.
Quel momento me lo ricorderò per sempre: avevo capito che il “sistema moda” era complesso, stimolante, affascinante, ma davvero non faceva per me.
Era tutto
troppo
Troppa frenesia, troppa velocità, troppo “lavori nella moda, vuoi anche avere una vita?!”
Sì, io la volevo!
Sentivo fortissimo la necessità di tracciare un confine, di darmi spazio, di riappropriarmi della mia autenticità.
Cosa volevo fare? Cosa mi piaceva davvero? Di cosa avevo bisogno?
Ero certa di voler lavorare ancora in questo settore, ma volevo farlo al mio ritmo, con un approccio più semplice e genuino. Dove le relazioni umane e le persone venissero prima dei vestiti, e non viceversa.
Così ho tolto le scarpe col tacco (che sollievo!) e deciso di ritornare alle origini, ai marchi di moda indipendenti.
Ho iniziato la mia attività di consulente, con l’obiettivo di portare loro questo bagaglio di conoscenze sicuramente singolare, che era cresciuto, e che di questo mondo contiene ora entrambi i lati della medaglia: la rapidità e la lentezza, la produttività e la necessità di una gestione più umana, il rigore nell’organizzazione e il desiderio di esprimere la propria creatività.
Così ho tolto le scarpe col tacco (che sollievo!) e deciso di ritornare alle origini, ai marchi di moda indipendenti.
Ho iniziato la mia attività di consulente, con l’obiettivo di portare loro questo bagaglio di conoscenze sicuramente singolare, che di questo mondo contiene entrambi i lati della medaglia: la rapidità e la lentezza, la produttività e la necessità di una gestione più umana, il rigore nell’organizzazione e il desiderio di esprimere la propria creatività.